di Domenico di Iasio

Con i miei studenti parlavo spesso del rapporto Fascismo-Comunismo, oggi riversato in una mozione del Consiglio Comunale di Genova relativa alla presunta equivalenza Fascismo-Comunismo. L’approvazione della mozione è stata più o meno generale, da parte di tutti i gruppi consiliari. Fortunatamente registriamo risposte abbastanza importanti, una delle quali è stata a “Prima Pagina”, dove un ascoltatore è intervenuto dicendo che non si possono mettere sullo stesso piano Nilde Iotti e Mussolini. L’altra risposta importante è quella di Marco Revelli pubblicata su “La Stampa” dell’11 febbraio, dal titolo emblematico “Genova insulta l’antifascismo”. A distanza di tempo un dibattito culturale si trasferisce dalle aule universitarie ai Consigli Comunali e ai giornali quotidiani. Fra le altre cose, Revelli ricorda giustamente che la nostra Costituzione reca la firma di Umberto Terracini, «dirigente comunista fin dalla nascita del partito, nel ’21,  Presidente -dall’8 febbraio 1947- di quell’Assemblea Costituente in cui i comunisti erano ben 104» (p. 21). Certo, è troppo pretendere dai nostri politici attuali conoscenze storiche che pur riguardano la nostra Italia!

Tuttavia, al di là della storia, c’è anche la filosofia che ha la funzione specifica di criticare i cosiddetti “idola fori”, i luoghi comuni che si cristallizzano nella storia. Uno di questi è appunto la presunta “equivalenza fascismo-comunismo”,  generato per la verità da una filosofa, Hannah Arendt, che peraltro ha dedicato tutta la sua vita e la sua riflessione alla critica e alla lotta antifascista. In una delle sue opere più rilevanti, Le origini del totalitarismo (1951), c’è un passaggio che accosta fascismo e comunismo: «Né il nazismo né il bolscevismo hanno mai proclamato una nuova forma di stato, o affermato che i loro obiettivi erano raggiunti con la conquista del potere e il controllo dell’apparato statale. La loro idea di dominio concerne qualcosa che né uno stato né un semplice apparato di violenza, ma soltanto un movimento costantemente in marcia può conseguire: cioè il dominio permanente di ogni singolo individuo in qualsiasi aspetto della vita» (tr. it. di Guadagnin, p. 451). In questa sede non è possibile approfondire e dibattere un’affermazione del genere, ma è chiaro che i due movimenti, fascismo e comunismo, dalla Arendt sono messi sullo stesso piano perché il loro obiettivo  sarebbe comune: “il dominio permanente di ogni singolo individuo”.  Ora, nel passaggio riportato, la Arendt non distingue tra ideali del comunismo e involuzione autoritaria del bolscevismo e del socialismo reale. D’altra parte, non tiene conto nemmeno della specificità del comunismo italiano, come fattore principale della costruzione della democrazia liberale in Occidente. Non tiene conto, soprattutto, del contributo culturale e politico di Antonio Gramsci, che del fascismo è stato la vittima sacrificale. Ma, ciò che mi preme mettere in rilievo in questa sede è che questo dibattito sulla presunta equivalenza bolscevismo-fascismo si è talmente incancrenito da diventare nel tempo un luogo comune, un vero e proprio pregiudizio che, nel nostro caso specifico relativo alla mozione del Consiglio Comunale di Genova, è perfino antistorico, se non grottesco.

Qualche tempo fa, nel 1980, in un convegno a Cattolica sul tema “Che cosa fanno oggi i filosofi?”, Umberto Eco accostava Partito Comunista Italiano e Chiesa: «Direi che ci sono solo due forze private che prestano attenzione ai filosofi, il Partito Comunista e la Chiesa, perché sono due entità filosofiche, nate da una filosofia, e hanno due nozioni del filosofo organico». La teoria del filosofo organico è di Gramsci che, ribadiamo, è stato la vittima, non il teorico, del fascismo, come d’altra parte la stessa Hanna Arendt.

Marco Revelli conclude il suo articolo rilevando che è veramente assurdo «mettere sullo stesso piano chi costruì i reticolati di Auschwitz e che nell’aprile del ’45 ne abbatté i cancelli».

Voglio sperare che si apra un processo critico nei confronti di uno stereotipo che rischia di creare danni alla stessa nostra democrazia liberale, di cui intendiamo essere, non rottamatori, ma  fedeli custodi.

Domenico di Iasio

domenico.diiasio@unifg.it

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