Lettera ai giovani sulla politica
di Gaetano Prenicpe
Il rapporto tra amicizia e politica è uno dei temi trattati di recente da un giovane filosofo italiano, Pietro del Soldà (noto agli ascoltatori della trasmissione di Radio3 Rai “Tutta la città ne parla”), nel libro “Sulle ali degli amici. Una filosofia dell’incontro”, edito da Marsilio qualche mese fa; ma è anche uno degli argomenti affrontati nell’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco, che al Capitolo Quinto, “La migliore politica”, dedica pagine molto intense all’amicizia sociale ed alla necessità di una nuova cultura dell’incontro.
Viene da chiedersi: cos’ha a che fare la politica con l’amicizia?
Poco o nulla, saremmo portati a dire. Anzi, il più delle volte cerchiamo di tenere a riparo l’amicizia dalla politica, proprio per evitare che lo scontro spesso inevitabile tra diversità di vedute ed opinioni politiche possa mettere a rischio il rapporto con persone che ci sono care, o a cui comunque teniamo, ma dalle quali ci separano diversità di vedute politiche. Un atteggiamento divenuto quanto mai opportuno in questo tempo di inasprimento del dibattito politico.
Cosa potrebbe avere quindi da dire la politica, sempre più screditata e distante dalla vita reale, al bisogno di amicizia che ognuno di noi avverte come un desiderio insoddisfatto, la cui mancanza lascia un vuoto che ci appare di giorno in giorno più incolmabile?
E poi, nel migliore dei casi, coniugare amicizia e politica non rischia di alimentare lo schema emotivo di contrapposizione amico-nemico, di schmittiana memoria, che porta di per sé a radicalizzare lo scontro, fino ad erodere i vincoli di solidarietà ed il rispetto delle istituzioni su cui poggiano le fondamenta una comunità?
Prima di rispondere a queste domande è opportuno allora chiedersi: che cos’è l’amicizia?
Non considero tale le cosiddette amicizie interessate, nate e alimentate dalla convenienza, dall’obiettivo di raggiungere una posizione sociale o di comodo, dalla convinzione di poterci ricavare un tornaconto, da gesti apparentemente generosi e gratuiti che attendono e pretendono invece un tornaconto, da una generosità che è fatta di scambi che si compensano a vicenda. E ancor meno le cosiddette amicizie on line, nate e limitate alla condivisione di frasi di circostanza, video, immagini e testi che circolano sulle piattaforme digitali come in uno spazio siderale.
Parlo di quel sentimento che si nutre di pura gratuità, della gioia di condividere anche solo lo spazio e il tempo con una persona a noi cara, del piacere di ascoltare la sua voce, di seguire con lo sguardo le espressioni del suo volto …
Nella nostra sfera privata, abbiamo tutti conosciuto e vissuto l’amicizia come un fiore nato spontaneo in luoghi normalmente sottratti alle regole ed alla pressione dei tempi di studio o di lavoro e alle loro dinamiche competitive, come alla consuetudine ed agli obblighi propri dei legami familiari.
E perché mai, allora, è diventato un fiore sempre più raro?
Un tempo a favorirne la nascita bastava la strada, la piazza , in cui trascorrevamo giornate intere. Poi lo sport e soprattutto la scuola, le vacanze, le associazioni, l’università …
Erano i luoghi della gratuità più assoluta, che davano vita spontaneamente a legami intensi, significativi, appaganti, che ci portavano a rivelare ad un’altra persona la parte più intima e segreta di noi stessi, a confidarne i sogni, le attese, le paure, ma anche la ricchezza emotiva e creativa che ci portavamo dentro.
Con il tempo l’amicizia è diventata una merce sempre più rara, un bisogno inappagato che crea un vuoto spesso occupato da sentimenti negativi (come il rancore, la rabbia, la diffidenza, se non la paura verso l’altro, fino all’ansia, all’insicurezza e alla mancanza di stima e di fiducia in sé stessi ), che sfociano spesso in patologie autodistruttive e corrosive del tessuto sociale.
Ancora una volta, allora: cosa c’entra tutto questo con la politica?
C’entra, perché da che mondo è mondo, da quando gli uomini hanno iniziato a riflettere sulla loro condizione hanno compreso che non ci si salva da soli, che non siamo delle monadi autosufficienti, che è nell’altro il nostro compimento, che solo l’altro può aiutarci a guarire le nostre ferite, che è solo con l’altro e grazie all’altro che possiamo uscire dal nostro bozzolo per progettare e costruire una società migliore, partendo però dalla ricerca dell’altro da sé, che è custodito in ognuno di noi.
Questa consapevolezza, ci ricorda Del Soldà, è forse il frutto più prezioso che ci ha lasciato in dote la filosofia greca, a partire da Platone, Socrate ed Aristotele, per i quali, vedi caso, questa ricerca è possibile solo nella polis, ed avendo come parola chiave proprio la philia.
Partendo dall’omerico philos, che indica ciò che mi è prossimo e di cui non posso fare a meno, in età classica il suo significato si è allargato fino ad includere il vincolo con tutti coloro che mi sono “cari” e senza i quali la vita non è degna di essere vissuta. Tra i philoi però non c’è solo affetto o benevolenza. Il loro rapporto è il “cemento della polis”. Per Aristotele è la philia a tenere insieme la città e a dare vigore e senso alla comunità politica, tanto che nell’Etica nicomachea arriva ad invitare i legislatori a tenere in maggiore considerazione questa più che la giustizia.
Mi viene spontaneo pensare alla progressiva estinzione delle api ed alla catastrofe cui andiamo incontro se non vi si pone riparo. Senza la loro continua e instancabile opera di inseminazione da fiore a fiore l’intero eco-sistema è destinato all’autodistruzione.
Ebbene, come il nettare senza le api è destinato a rimanere racchiuso in ogni fiore, allo stesso modo, senza uno spirito di amicizia, senza la philia , anche la società è destinata alla disgregazione, se non all’autodistruzione.
Da qui la necessità, avvertita già da Aristotele, di mettere nel cuore della città, nelle piazze, nelle strade, la consapevolezza condivisa di dover agire ognuno per il bene dell’altro.
Ed è proprio nella politica che teoria e prassi sono destinate ad unirsi.
Per comprenderlo appieno dobbiamo ricordarci che per il filosofo di Atene l’essere umano è un “animale politico” o meglio ancora “un vivente politico”, destinato a cessare di esistere al di fuori della città. Ma stare nella città per Aristotele vuol dire vivere con amicizia, in maniera spontanea ma “assolutamente necessaria”.
Non è sufficiente osservare le leggi (e sarebbe già tanto) e coltivare buone amicizie, se poi si voltano le spalle alla città.
Non è in gioco solo la cura, la solidarietà o il reciproco soccorso, ossia ciò che è necessario. L’amicizia politica è lo stimolo fondamentale “a compiere cose belle”, dove il bello consiste proprio nel “fare il bene senza contraccambio”, nell’agire liberi dal calcolo del tornaconto e, soprattutto, nel riuscire a farlo insieme.
Questa, e non solo per Aristotele, è la condizione per essere veri cittadini.
Gaetano Prencipe
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