“Comunità” è la parola che è risuonata più di ogni altra a Palazzo Celestini nel convegno tenutosi martedì 16 gennaio a Manfredonia, anche più delle parole mafia e criminalità, che pure erano al centro del tema trattato: “Criminalità organizzata ed economia”.
L’ha pronunciata più volte Daniela Marcone, vice presidente di Libera, nel presentare la “Giornata del ricordo e dell’impegno in memoria delle vittime innocenti di mafia”, la manifestazione nazionale che 21 marzo prossimo si terrà proprio a Foggia.
Vi ha molto insistito,forse più di tutti ed in maniera accorata, Ludovico Vaccaro, da appena due mesi nuovo Procuratore della Repubblica di Foggia, per il quale la nostra, quella della Capitanata, è una comunità sana, che ha in sé le ragioni e la forza per reagire alla pressione sempre più insistente della criminalità organizzata, alla sua violenza, alle sue infiltrazioni nel tessuto economico ma anche alle sue lusinghe.
Una comunità che può guarire, l’ha quasi corretto Daniela Marcone, a voler dire che sana proprio non è, perché la criminalità organizzata è un cancro che la percorre da tempo, ma dal quale può guarire, ne è convinta anche lei.
Una criminalità che entrambi comunque non esitano a chiamare per nome, mafia, nelle varie sfaccettature che essa presenta nel nostro territorio, da quella foggiana a quella garganica, la più atavica ma anche la più feroce, come sta a dimostrare anche l’ultimo episodio accaduto lo scorso agosto, che ha riportato alla ribalta nazionale il nostro territorio come terra di mafia. Una mafia che sta cercando di mettere le mani sui settori più preziosi della nostra economia: l’agroalimentare ed il turismo. Se ce l’ha fa, getta l’allarme Vaccaro, per il nostro territorio è la
fine!
Ma quando ci metterà a guarire? Don Luigi Ciotti ha ricordato che la parola mafia è apparsa dalla metà dell’800 a caratterizzare in Sicilia un fenomeno al quale si stentava a dare l’esatta valenza criminale. E che fu un altro don Luigi, don Luigi Sturzo, all’inizio del ‘900, a preconizzare che l’organizzazione avrebbe avuto i piedi in Sicilia ma la testa altrove, a Roma, e che col tempo avrebbe esteso le sue radici in Europa e perfino in America.
Sono passati più di cento anni e la mafia non solo non è stata sconfitta ma ha preso piede ovunque in Italia ed anche in paesi come la Germania, come ci ricorda l’altra strage di ferragosto, quella di dieci anni fa a Duisburg, in cui furono uccisi sei persone, appartenenti ad un clan della ‘ndrangheta calabrese, partiti tutti dal piccolo paesino di San Luca nella Locride.
E ciò accade, nonostante l’Italia vanti le leggi più innovative per combattere tale fenomeno, la prima delle quali, ha ricordato don Ciotti, la legge Rognoni-La Torre, del 1982, che costò la vita ad un valoroso politico, Pio La Torre, e l’ultima in ordine di tempo, quella approvata il 17 ottobre dello scorso anno, la riforma del codice antimafia, che, tra le altre, detta importanti misure per rendere più snelle e trasparenti le procedure di confisca e riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie.
Una criminalità che non demorde e che continua ad affliggere questo territorio e la sua economia con estorsioni ai danni di imprese ed esercizi commerciali, oltre che con il traffico della droga, e che ricicla i capitali in attività lecite, dalle quali occorre prendere le distanze, ha insistito il Procuratore. La comunità tutta deve reagire, non solo denunciando ma anche astenendosi dal frequentare i loro esercizi commerciali, dal rivolgersi alle loro imprese. Occorre fare quello che fa una comunità sana o che vuole guarire: isolarli. E fare, aggiungo io, quello che fa una politica sana: non cercare i loro voti, e nemmeno accettarli.
Anche per don Luigi Ciotti, il fenomeno non può essere combattuto solo sul piano repressivo con le forze di polizia e con gli organi inquirenti. Non può essere vinto se non è la comunità a reagire, ognuno assumendosi la propria parte di responsabilità. Una parola, quest’ultima, che quasi gli verrebbe di sostituire a quella troppo usata ed abusata, se non rubata, “legalità”, che rischia di non riuscire ad esprimere più nulla.
Quella stessa comunità, la nostra, cui è rivolto il libro dal titolo “Coraggio: è semplice”, scritto da Giuseppe Pellegrino, già magistrato e Presidente di Corte d’Appello, e che egli, con fare pedagogico, esorta a non farsi vincere dalla paura, ad avere coraggio, a comportarsi bene ma soprattutto a “costruire il bene comune”.
E’ quello che vorremmo contribuire a fare, anche scrivendo sul sito “Comunità e territorio”, al quale vi invitiamo a collaborare ed a farlo conoscere.