Il dibattito pubblico è come l’acqua del pozzo da cui tutti ci abbeveriamo. Inquinarlo con continui giudizi offensivi e denigratori, ergendosi ogni volta ad autorità morali indiscusse e inappellabili, alla fine porta a rendere impossibile un civile confronto su qualsiasi argomento.
E non parlo solo di chi si nasconde dietro l’anonimato che Stato Quotidiano continua a garantire (fino a quando?), ma anche di chi sottoscrive documenti con sigle politiche.
Penso da ultimo al documento di Manfredonia Nuova, che pur esprimendo una legittima posizione politica (nel chiedere conto a due consiglieri regionali, nei diversi ruoli di maggioranza e di opposizione, di importanti decisioni adottate dalla Giunta Regionale che riguardano un’area a ridosso dell’abitato di Manfredonia), arrivano ad accusarli di inedia e di “disprezzo per la città e la popolazione stessa di Manfredonia” per non aver risposto alle loro domande e facendo finta di dimenticare, o forse mostrando di non aver ancora digerito, che si tratta di due consiglieri appena democraticamente rieletti, grazie soprattutto ai voti dei manfredoniani.
Il rancore viene ricambiato con altrettanto rancore e gli insulti vengono moltiplicati come l’eco in una caverna, rimbalzando da una parete all’atra e colpendo tutti.
Mi chiedo e chiedo: è possibile, con un accordo tra tutte le forze politiche cittadine (partiti, movimenti e associazioni), rinunciare ad argomenti deliberatamente e pregiudizialmente ostili e offensivi? Un accordo che faccia di un valore condiviso, la discussione pubblica, il primo bene comune da promuovere e tutelare.
Non si tratta di abolire la critica, anche aspra se il caso, nel confronto tra posizioni e punti di vista diversi.
Altrimenti, a farne le spese saremo tutti (vecchi e nuovi esponenti politici e istituzionali), con l’unico effetto, forse da alcuni voluto, di tenere lontano dall’impegno politico chi non ha alcuna intenzione di farsi sporcare dagli schizzi di fango e dagli stracci che volano continuamente (colpendo anche chi non ha ancora preso parola e ciò nonostante si vede attribuire a questa o all’altra fazione, a Tizio o a Caio, me compreso).
Come si fa a non vedere che a pagarne le spese è la città?
Tra alcuni mesi si tornerà ad amministrarla senza nemmeno aver affrontato seriamente le questioni che hanno portato al suo commissariamento per rischio di infiltrazioni mafiose, magari anche per sollevare alcuni da responsabilità, senza però negare l’esistenza e la gravità del fenomeno criminale e le sue tentacolari diramazioni nel tessuto economico cittadino.
E, per arrivare al tema del giorno, si continuerà a far finta di non sapere che mentre noi siamo impegnati in una continua resa dei conti altri decidono per noi, come sta avvenendo per i nuovi insediamenti produttivi che stanno per essere realizzate nell’area ex Enichem a ridosso dell’abitato, senza che la Regione Puglia (che ha deciso di finanziare l’insediamento in quell’area dell’impianto destinato a raccogliere, trattare e trasformare in materiale riutilizzabile la plastica proveniente da tutto il territorio regionale, se non oltre) e il Comune di Monte Sant’Angelo (che ne ha proposto la candidatura), sentano la necessità se non il dovere di coinvolgere preventivamente il comune di Manfredonia (associazioni e forze politiche comprese) nella valutazione di tale opportunità e nella relativa decisione.
Né ci si può accontentare di facili rassicurazioni sulla bontà del progetto, solo perché rientra in una pur condivisibile idea di economia circolare, senza tener in alcun conto della sua dimensione e dei suoi inevitabili impatti ambientali, gravi o trascurabili che siano.
Per non parlare della notizia del possibile insediamento di un’industria di estrazione e lavorazione della bentonite, pubblicizzata qualche giorno fa dal Presidente dell’Autorità Portuale ma forse già in fase di avanzata proposta. Lo sapremo a cose fatte?
Mesi fa, in un’intervista a Manfredonia News, ho posto il problema di una possibile gestione condivisa tra i due comuni delle scelte sull’utilizzo delle aree ex Enichem, ed ho proposto come strumento possibile l’APPEA, ossia la conversione di quella zona in un’area produttiva paesaggisticamente e ambientalmente attrezzata, con un organismo di gestione partecipato dai due comuni e non solo.
Nel silenzio totale delle associazioni e forze politiche locali, l’unico a rispondere, dopo solo qualche ora, è stato il Sindaco di Monte Sant’Angelo, con toni a dir poco polemici se non offensivi, cui non ho voluto replicare
L’APPEA, che comporta una programmazione strategica, anche con finalità di tutela paesaggistica e ambientale, di un’area a destinazione produttiva, non è una mia trovata originale. È previsto come punto programmatico dal PPTR (Piano Paesaggistico Territoriale Regionale) approvato dalla Giunta Regionale nel 2015 e in vigore dal 16 febbraio dello stesso anno. Anzi, è il PPTR a individuar proprio l’area industriale ex Enichem tra i cinque progetti territoriali già puntualmente individuati per la conversione in APPEA (si v. punto 4.4.2, che ne illustra le finalità e tutti i vantaggi, oltre alle modalità di attivazione).
L’invito è quindi alle associazioni e alle forze politiche, e in primo luogo al PD, di cui il Sindaco D’Arienzo e il Consigliere Regionale Campo sono autorevoli espressioni, a raccogliere l’invito ed a contribuire ad un dialogo proficuo sull’argomento, senza farsi irretire da rivendicazioni campanilistiche ma continuando nel solco di una capacità di dialogo e di collaborazione che dopo la vicenda Enichem si è stati capaci di esprimere.
Gaetano Prencipe
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