di Domenico di Iasio

C’è una proposta dell’economista Umberto Sulpasso, che attualmente lavora per il governo indiano, di una «economia digitale» generalizzata, che apra la strada al cosiddetto «PIL Sapere» (US 13), cioè all’economia della conoscenza. Tale proposta, apparsa su “La Gazzetta del Mezzogiorno” (19 novembre 2020) con un  titolo emblematico L’Italia porti l’Europa verso il PIL Sapere, a nostro avviso è vera a metà. È vera perché nel mondo odierno, non solo nel mondo economico, la comunicazione digitale la fa da padrona, è letteralmente impossibile cancellarla. È falsa, per l’altra metà, perché la digitalizzazione dell’economia copre il concetto di consumo di natura e si presenta, d’altra parte, con un volto totalizzante. Ad esempio, si infiltra subdolamente anche nel mondo della formazione, la cosiddetta “didattica a distanza (dad)” che, se è necessaria nelle fasi di emergenza come quella ancora attuale del Covid, non può d’altra parte sostituire il mondo della socialità, dell’apprendimento dialogico, della valutazione delle competenze, dell’espressività personale, il mondo umano dell’affettività, della simpatia e antipatia, il mondo dell’amicizia, della solidarietà, perfino dell’amore.  Tutti pezzi di cui si compone la formazione e che si costruiscono spontaneamente all’interno di una classe, di una scuola, all’interno di un’aula universitaria. Pezzi che non nascono al di fuori della relazione didattica reale. È Socrate che ce lo ha insegnato e vogliamo veramente sperare che questa nobile e feconda tradizione non venga stupidamente cancellata, che non venga stupidamente cancellato l’umanesimo. Nietzsche ha predicato la morte di Dio, ma dovremmo in questo caso predicare la morte dell’uomo, che vogliamo invece mantenere in vita, come la stessa idea di Dio, come idea di un essere, per quanto abscondĭtus, reale.

La digitalizzazione onnicomprensiva della didattica è, dunque, un rischio reale per il concetto stesso di formazione. Gianna Fregonara e Orsola Riva in un editoriale del «Corriere della Sera» (15 settembre 2020), rilevano che oggi «uno studente su tre esce dalla terza media senza saper leggere, scrivere né far di conto» e che su tesi di laurea si notano spesso «errori di grammatica e ortografia da quinta elementare» (FR 28). Mi viene in mente il libro di Giulio Ferroni, Scuola sospesa (Torino 1997), allora per crisi formativa non ancora rilevata ufficialmente, ora per crisi formativa integrata con la crisi da Covid. Crisi potenziata che letteralmente fa collassare la scuola e il concetto stesso, tanto caro ad Howard Gardner, di “educare al comprendere” (Educare al comprendere, Milano 1993), con forza ribadito a voce da questo stesso pedagogista, oltre che da Nando Filograsso, in un convegno urbinate degli annui Novanta del secolo sorso. La comprensione emerge dal dialogo che nella scuola è sempre di natura interculturale fra diversi: fra le generazioni, docenti, discenti e genitori, fra gli stessi docenti e gli stessi discenti, che si incontrano e si scontrano sulle varie questioni, fra le cittadinanze dai colori diversi oggi sempre più presenti nel panorama scolastico.

La crisi formativa condiziona il concetto stesso di sviluppo, in tutti i sensi inteso. Voglio solo sperare che si apra un autentico e ampio dibattito sui processi formativi, perché la questione della scuola, non riguarda solo i fruitori, ma riguarda tutti, l’intera società e il suo stesso futuro, l’essere cioè delle nuove generazioni, il loro modo di stare al mondo.

Domenico di Iasio

domenico.diiasio@unifg.it

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