Il racconto di una lunga notte dell’estate 2018

Finale

di Gaetano Prencipe

Alle prime luci dell’alba alcune finestre di fronte iniziano finalmente ad illuminarsi.

Mentre il proprietario del bar più avanti alza di colpo la serranda, il primo a passare a piedi ed a fermarsi è lo spazzino della zona che, conoscendola di vista, le si avvicina per chiederle se abbia bisogno di aiuto.

“Si, grazie. Ho bisogno di un cartone per metterci dentro un gatto ferito che è qui dietro al muretto. Ti riesce di procurarmelo? Uno con i bordi abbastanza alti”.

“Un gatto o un cane?”, gli chiede quello con uno sguardo a dir poco perplesso.

“Un gatto. Credo che abbia le gambe spezzate. Non ha mai smesso di lamentarsi per tutta la notte”.

“Non mi dire che sei rimasta qui tutta la notte per un gatto?”.

“Certo, qualcuno doveva pur farlo”.

“E cos’ha di speciale questo gatto per meritare tanta attenzione?”.

“E’ ferito, ed ha bisogno di cure. Questo ha di speciale”.

“Allora vuol dire che è un gatto fortunato. Cerco di procurarti il cartone”.

Non appena lo spazzino si allontana per dirigersi verso il bar, le si avvicina un signore con una cane. Anzi, fa prima il cane ad avvicinarsi, facendo correre via il gatto dalla panchina. Il primo di una lunga serie, visto che il marciapiede conduce ad una vasta area, quella oltre il muro di cinta,  che da diversi anni, almeno da quando le ferrovie l’hanno dismessa e l’ha comprata il Comune, è diventata il luogo ideale per portarci i cani per i loro bisogni. Già dalle prime ore del mattino si assiste ad un continuo via vai di cani a guinzaglio, che disseminano il percorso con tracce anche visibili del loro passaggio.

Sarah conosce di vista sia il cane che il suo padrone, una persona distinta sui sessant’anni, che abita a qualche isolato più in là.

“Sei rimasta fuori di casa?”, le chiede salutandola con un cordiale buongiorno.

“Si. Anzi , no. Insomma, ce l’ho le chiavi di casa. Solo che qui dietro al muretto c’è un gatto ferito e sto cercando di aiutarlo”.

“Ferito come?”.

“Credo che abbia le zampe  davanti spezzate, o almeno questo sembra. Non so se abbia altre ferite. Credo sia stato investito da una macchina”.

“Ed hai passato la notte qui?”.

“Si, perché?”.

“Non so, mi pare eccessivo”.

“Lei l’avrebbe fatto per il suo cane?”.

“Certo, ma il cane è mio”.

“Bene, allora anche il gatto da ieri è mio perché me ne sento responsabile. Cosa cambia?”.

“Lo conoscevi già, immagino?”.

“No, non l’avevo mai visto prima, se è questo che vuol dire”.

“E che pensi di fare?”.

“Per ora, spero di riuscire a portarlo da un veterinario. Poi si vedrà”.

“Mi spieghi perché lo fai?”.

“Non lo so. Sento di doverlo fare e che sia giusto così”. 

“Auguri, allora, per il tuo gatto”,  le dice,  scuotendo la testa, mentre va via strattonato dal suo cane. 

In realtà Sarah non ha nessuna intenzione di impossessarsene.

Vuole solo che venga curato e che ritorni al suo stato di libertà.

Ed è quello che più tardi ha ripetuto al veterinario una volta raggiunto il canile.

Da sola forse non ce l’avrebbe mai fatta. Ad aiutarla è stato Antonio, un altro vicino di casa da cui non si sarebbe mai aspettata tanta disponibilità. Con un fare sicuro e con molta accortezza, ha prima adagiato il gatto nel cartone, poi ha lui stesso chiamato a più riprese il centralino dei  vigili urbani e quindi il canile, chiedendo se potessero portarlo lì.

Appena arrivati lo hanno affidato alle cure del veterinario.

Sarah ha però preferito aspettare fuori dall’ambulatorio. Non le andava di assistere all’anestesia. Ed ora è lì che attende impaziente l’esito dell’intervento.

“Sarah, puoi  entrare”, le dice finalmente Antonio mettendo la testa fuori dalla porta.   “E’ fuori pericolo”, aggiunge con un sorriso bonario.

“Ha gli arti anteriori fratturati in più punti”, precisa il veterinario. “ Per il resto ha solo leggere escoriazioni su tutto il corpo. Dovremmo mettergli delle fasciature rigide, per cui, almeno per un mese, potrà muoversi a malapena. Occorre quindi che se ne occupi qualcuno”.

“Non potete pensarci voi fino alla guarigione?”, chiede Sarah.

“No, qui lo possiamo tenere in osservazione una sola settimana, poi dobbiamo dimetterlo. Non avremmo neanche lo spazio per tenerlo”.

“Va bene, vuol dire che me ne occuperò io”.

“Ha mai avuto un gatto?”.

“No, mi farò  spiegare da qualcuno come fare. O vedrò in internet”.

“Allora torni a riprenderlo venerdì prossimo”.

“D’accordo, venerdì mattina sarò qui”.

“Ah, scusi, come si chiama?”, le chiede il veterinario vedendola uscire dall’ambulatorio.

“Mi chiamo Sarah”.

“Si, questo lo so,  l’ho già letto sul modulo che ha compilato all’ingresso. Intendevo chiederle come si chiama il gatto, anzi la gatta, visto che è femmina”.

“Non lo so, non credo che abbia un nome”.

“Allora le dia lei un nome, visto che dovrà occuparsene”.

“Mi faccia pensare. E’  la prima volta che mi capita di dover dare un nome a qualcuno. E’ una bella responsabilità”.

“Mi dica il primo nome che le viene in mente, di solito è il più azzeccato”, insiste il  veterinario, guardandola con la penna tra le dita, pronto a scrivere il nome su una targhetta.”Allora?”.

“… allora, si chiama … Vlora”.

“Vlora?, con la V di Verona?”.

“No, con la V di Valona. L’iniziale è la stessa ma ha tutta un’altra storia”.

“Sarà sicuramente una storia interessante. Perché non me la racconta?”.

“Magari un’altra volta. Ora sono un po’ stanca”.

Stanca, ma finalmente sorridente.

 

Fine 

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