di Gaetano Prencipe

Fa uno strano effetto rileggere il “Breviario mediterraneodi Pedrag Matvejevic in questi giorni dell’estate 2018, con la nave Diciotti della Guardia Costiera italiana ormeggiata da diversi giorni nel porto di Catania con a bordo ancora 150 persone, ostaggio della retorica di un governo a trazione fascio-leghista.

Eppure consiglio a tutti di farlo, specie a chi potrà avere il piacere di leggerlo per la prima volta.

Un libro difficilmente classificabile  in un genere letterario: è prosa, poesia, breviario di preghiera, diario di bordo, portolano, racconti di viaggio, riflessione filosofica …

Partendo da un’indagine sull’etimologia della parola “Mediterraneo”, Matvejevic provò a dare voce e forma ad un comune sentimento di appartenenza a quello che lui chiamava “il mare della vicinanza”.

Ne ha ripercorso la geografia, la storia e l’anima stessa: dei luoghi, dei mari e delle terre che lo compongono; come dei colori, degli odori, dei suoni, delle albe e dei crepuscoli, dei venti, delle coste, dei porti, dei fari …;  delle civiltà e dei popoli  che vi sono nati e che per secoli hanno continuato a mescolarsi, a fondersi ed a contrapporsi gli uni agli altri; delle tre grandi religioni monoteiste di cui è stato culla, come lo è stato della dialettica, dell’arte, della democrazia, del diritto romano, della scienza…; e poi di città come Gerusalemme, Atene, Roma, Alessandria, Costantinopoli, Venezia …

Un libro dal quale ci si sente raccontati: “Gli abitanti della costa – sostiene, tra l’altro  Matvejevic, come se parlasse anche di noi manfredoniani – si distinguono tra loro dal modo in cui si rapportano al mare: gli uni costruiscono le case proprio sulla riva, gli altri se ne tengono ben distaccati per non perdere la terra sotto i piedi; i primi hanno il mare sempre sotto i loro occhi; i secondi gli voltano le spalle” (p.29).

Nato a Mostar nel 1932 (Bosnia-Erzegovina) da padre russo a madre croata, professore di letterature comparate prima alla Sorbona di Parigi e poi alla Sapienza di Roma, morto lo scorso anno, Matvejevic ha provato a raccogliere ed a raccontare in questo libro sul Mediterraneo tutta la bellezza nata e cresciuta in questo grembo ma anche il groviglio dei suoi conflitti e delle sue contraddizioni.

Come sostiene Claudio Magris  nella prefazione all’edizione italiana del 2006 (la prima è del 1991), “Pochissimi autori aiutano ad affrontare quest’ingorgo come Matvejevic, che con la sua cultura cosmopolita, la sua signorilità intellettuale – e la sua dialettica vicinanza-lontananza alla vita, alla storia e alle cose – difende la soggettività senza abdicare all’universalità, resiste al totalitarismo senza perdere di vista una prospettiva globale della realtà (…). E aggiunge, “Combattendo contro lo stalinismo e contro tutti gli stalinismi, ossia contro tutte le formule e le concezioni totalizzanti, Matvejevic ha anche esorcizzato e smascherato il pericolo opposto e complementare, che ora sembra dissolvere ogni unità culturale e ogni sistema di valori, e cioè il particolarismo esasperato (…) mettendo così in guardia contro ogni ossessiva, viscerale, atomistica esaltazione della propria identità e della propria immediatezza”.

Matvejevic ha sempre mantenuto la sua vocazione di interprete del dialogo tra i popoli scrivendo saggi, studi letterari, interventi etico-politici  e “lettere aperte” indirizzate ai vari potenti della terra in difesa delle vittime dei potenti di turno, e non senza rischi per la sua persona.

In “Breviario mediterraneo” ha solo cambiato registro, come suggerisce Magris, utilizzando un’incantevole chiave musicale.

E’ lo stesso registro che ha in parte utilizzato nel successivo “Pane nostro”, che suggerisco di leggere appena finito il primo.

E’ uno straordinario saggio di storia culturale e materiale con il quale ci aiuta a ripercorrere le vie del pane, il principale dei nostri alimenti, il fondamento della nostra civiltà.

Seguendo le sue vie, Matvejevic rende evidente la relazione tra “mare nostrum” e “pane nostro”.

Il pane (dividerlo, spezzarlo, scambiarlo) è un luogo della tolleranza e del confronto tra genti diverse. Ed è proprio per questo che il pane, insieme al sole, al mare e all’ulivo, è una delle basi del “pensiero meridiano”, oltre che una delle basi della storia del Mezzogiorno d’Italia.

Il paese dove siamo nati e dove siamo cresciuti”, scrive Matvejevic, “ci ha donato il sapore del suo pane. Quando il destino ci spinge o ci esilia in un’altra terra, ce lo portiamo con noi, in noi. Chi perde questo sapore, perde una parte del proprio paese e di sé stesso.”

E’ bellissima la recensione che ne fece Alessandro Leogrande sul sito www.minimaetmoralia.it nell’ottobre del 2010, da cui ho tratto qualche passaggio ma che va letta per intero.

Per il grande giornalista e scrittore di origine pugliese, prematuramente scomparso lo scorso anno, “ In fondo, tutte le storie di immigrazione sono anche storie legate al pane. Gli uomini e le donne si sono sempre messi in viaggio, e lo fanno tuttora, verso quelle terre in cui il pane si sforna in gran quantità. E dove, per eccedenza, viene buttato ogni giorno al calar della sera. Ancora oggi, come disse una volta Pjotr Kropotkin, “la questione del pane è più importante di tutte le altre”.

Chissà come avrebbe raccontato quello che sta accadendo in questi giorni a Catania.

Credo che neanche lui abbia mai immaginato che si potesse arrivare a tanto. E forse il peggio non è ancora arrivato.

Leggere Matvejevic come leggere Leogrande in questi giorni non potrà cambiare di per sé la situazione ma forse ci aiuterà a comprendere le ragioni e la necessità di una nuova resistenza, allo stesso tempo culturale e politica.

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