di Gaetano Prencipe

Spesso dimentichiamo che il mare sul quale si affaccia la nostra città, nel quale ci siamo bagnati migliaia di volte e al quale abbiamo affidato tanta parte dei  nostri ricordi giovanili,  ha un nome proprio: Adriatico. Un nome antico, dal greco Adriatike talassa, che si diffuse a partire da circa 2500 anni fa, pressappoco dal IV secolo a. C..

Deriva da Adria, un’oscura città posta in fondo a quello che allora era chiamato dai greci golfo dello Ionio.

Ai cartografi all’inizio apparve come un’insenatura del Mediterraneo, il Sinus Adriaticus, posto tra il golfo di Trieste fino al canale d’Otranto, lungo appena 72 chilometri, che funge da porta d’ingresso; mentre nel Medioevo fu affiancato e spesso sostituito con Golfo di Venezia.
Nel modi di dire e nelle tradizioni letterarie dei popoli slavi meridionali, invece, l’Adriatico è semplicemente il mare azzurro, rispetto al bianco Egeo e al mar Nero.

storia dell'adriatico | Comunità e territorioA ricordarcelo è un bel libro di Egidio Ivetic, professore di Storia moderna e Storia del Mediterraneo all’Università di Padova, pubblicato da poco: “Storia dell’Adriatico”, Un mare e la sua civiltà”, Ed. Il Mulino, 2019, nel quale confesso di essermi imbattuto per strane coincidenze, essendo da tempo alla ricerca di ispirazione per un lavoro artistico da realizzare su delle enormi carte nautiche affidatemi da un caro amico, che ormai teme di averle perse insieme alla speranza di ricavarne un’opera.

Un libro  che ci racconta la storia dell’Adriatico, quale organismo vivo e vitale in sé, delle sue coste e dei paesi che vi si affacciano, non tutti, per diverse ragioni, in grado di esprimere una civiltà genuinamente marittima; dei territori che si affacciano sulla costa, dei paesaggi continuamente trasformati dalle mani dell’uomo. L’Adriatico come idea unitaria, un unico contesto culturale, una regione dalla propria fisionomia e personalità; in altri termini, con una propria identità, “che tutti riconoscono, ma pochi conoscono veramente”.

Uno spazio che nella storia è stato da sempre incontro tra popoli, civiltà e culture diverse (per lo più, culture di confine), in cui l’italiano (con le sue tante parlate) ha incontrato le lingue slave meridionali, lo sloveno, il croato, il serbo e l’albanese.

Sulle stesse sponde la tradizione confessionale cattolica ha convissuto per secoli con quella ortodossa, professata da serbi, montenegrini, albanesi e greci, e incontrato l’islam, tutt’oggi di casa a Mostar o a Durazzo (non dimenticando che per oltre seicento anni, dal 555 d.C. al 1204,  l’impero bizantino ebbe la sovranità formale sulle sponde adriatiche orientali, dalla Dalmazia all’Albania).   

Un libro che mi ha subito affascinato, perché mi ha ricordato nello stile e nella ricchezza della scrittura quelli di Petrag Matvejevic, l’autore del meraviglioso “Breviario mediterraneo”, per il qualese l’Atlantico o il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l’Adriatico è il mare dell’intimità”.

Per Ivetic, più che nella sua geografia, l’Adriatico trova unitarietà culturale proprio nella sua storia, costituendo un formidabile testo in cui non solo leggere il passato e ripensare il presente, ma anche per progettare il futuro, al qual è in grado di fornire una visione: l’Adriatico come mare regione.

Del resto, dal 2006 esiste un’Euroregione Adriatico, poi denominata dal 2014 Adriatico-Ionio, che raduna le province, i distretti e i comuni dei sette stati rivieraschi (posti sulla costa occidentale e su quella orientale), e si propone come raccordo istituzionale tra enti di alta istruzione, municipalità e camere di commercio. Grazie all’Europa, l’Adriatico è quindi già diventato un soggetto amministrativo, non solo un fatto geografico. Si tratta di un soggetto internazionale,  con 23 unità amministrative tra province, regioni e municipalità d’Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Albania, che vi si affacciano per un totale di 23 milioni di abitanti.

Quattro sono i pilastri tematici su cui si fonda la strategia di sviluppo dell’euroregione adriatica:  la cosiddetta crescita azzurra, che riguarda il settore marittimo; la connessione infraregionale; la qualità ambientale e il turismo sostenibile, da perseguire con attività di coordinamento e fondi che finanziano progetti specifici attraverso appositi bandi.

Perché allora, nella difficoltà di immaginare un futuro migliore per il nostro territorio, non guardare all’Adriatico come un contesto di opportunità di sviluppo oltre che di straordinarie suggestioni culturali?

L’ipotesi è tutt’altro che teorica visto che da diversi mesi in regione ci si sta occupando delle ZES, le zone economiche speciali, che vedono proprio nei porti dell’Adriatico (compreso il porto di Manfredonia),  nelle aree retro portuali e in quelle ad esse funzionalmente connesse, il punto focale di una nuova strategia di sviluppo regionale, intendendo per regione un territorio che va oltre i confini amministrativi. La ZES Adriatico, nella quale Manfredonia è inserita, comprende infatti anche il Molise, all’interno di un progetto comune che, nel guardare al futuro, si fa forte di un passato ricco di storia (non solo tra le due regioni, unite da secolari legami economici, culturali e  familiari, ma anche con i paesi della vicina costa  dalmata).

Ripensarsi allora come regione adriatica, all’interno del più ampio contesto mediterraneo, è ormai una necessità più che un’opportunità per l’economia, per la cultura e soprattutto per la politica, imprigionata com’è in un eterno e asfissiante presente.

 

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