Questa settimana  comunitaeterritorio.it ospita il contributo di Saverio Russo, professore di Storia Moderna all’Università degli Studi di Foggia, già apparso sul n.6/17 della Rivista di cultura e politica IL MULINO”, di recente pubblicazione (anche in versione online).comunità e territorio | rivista mulino

Il numero della rivista, curato dall’economista Gianfranco Viesti, porta il titolo “Viaggio in Italia. Un paese plurale, difficile e bellissimo”, e raccoglie contributi di 40 studiosi che coprono l’intero stivale. Un viaggio fatto di storie e immagini, con uno sguardo al presente senza dimenticare le nostre origini. Un racconto corale per decifrare un Paese frammentato, spesso molto diverso da come lo immaginiamo.

Un numero che vi invitiamo a leggere per intero, a partire dalla lunga introduzione di Gianfranco Viesti, di cui riportiamo di seguito alcuni estratti, sia perché elenca e rappresenta con grande lucidità  temi, questioni e problemi che interessano direttamente anche la nostra città sia perché coglie in pieno lo sforzo che comunitaeterritorio.it vuole porre in essere.

Poche nazioni come l’Italia – sostiene Viesti – sono segnate dalla grande varietà dei suoi luoghi e delle sue città. Una varietà che da sempre è all’origine della sua forza e della sua bellezza, ma anche delle sue difficoltà di governo. Le realtà, così come le rappresentazioni, dei luoghi dell’Italia sono assai persistenti …” . Eppure, “corriamo il rischio di non trovare nuove narrazioni del presente e del futuro; di finire, come forse sta avvenendo soprattutto a Venezia, «prigionieri della storia»; di essere come l’Italia degli anni Cinquanta raccontata da Guido Piovene, «un Paese oscuro a se stesso, nel quale tutti soffrono più malesseri che dolori, senza capire con chiarezza il perché».

Nei nostri racconti, i cambiamenti di questo scorcio del XXI secolo sembrano relativamente limitati. Eppure ci sono, in parte conseguenze della gravissima crisi economica dell’ultimo decennio, la peggiore della storia unitaria. Vi sono dinamiche all’interno delle grandi aree territoriali (…). Nell’insieme, due sembrano i temi che maggiormente connotano le realtà e le dinamiche di molti luoghi dell’Italia. Da un lato, la demografia: sono le variazioni della popolazione, già registrate o prevedibili, a influenzare significativamente realtà e prospettive di molti luoghi italiani, nel bene e nel male. Dall’altro il rafforzarsi o il venir meno di istituzioni, pubbliche o private, con un raggio d’azione sovralocale, capaci di essere nodi di flussi interregionali e internazionali di idee, capitali, beni e servizi e soprattutto di giovani qualificati. (…)

Su queste dinamiche riescono a incidere molto poco visioni e azioni strategiche esplicite, tanto a livello locale quanto a livello nazionale. La speranza, alimentata da non poche interessanti esperienze, è che iniziative locali, spontanee, riescano a influenzare positivamente questi cambiamenti; il timore è che esse siano insufficienti in un quadro di straordinaria debolezza della politica e delle politiche; che in molti luoghi si miri più a sfruttare rendite di posizione (per chi le ha) che non a mettere in moto gli investimenti, materiali e immateriali, che sono necessari. (…)

I più forti cambiamenti di questo scorcio di secolo sono, ovunque, nelle dinamiche demografiche. L’arrivo di 5 milioni di stranieri in un lasso di tempo breve, contemporaneo al calo della natalità e all’aumento della vita media e quindi all’invecchiamento della popolazione. La presenza di tanti immigrati è ormai una caratteristica strutturale, nuova, dell’Italia; ma le differenze fra luogo e luogo sono profonde. La presenza degli stranieri è molto maggiore al Nord rispetto che al Sud; ha una valenza decisiva in città e territori dove arriva a sfiorare ormai il 20% della popolazione. Quali conseguenze ne stanno derivando?

Nei luoghi in cui è maggiore l’afflusso di immigrati, i nostri racconti segnalano con chiarezza che quel che conta è l’integrazione socio-economica e quindi culturale, che scaturisce dalla disponibilità di lavoro e dalla capacità di presa in carico della rete dei servizi, dalla scuola alle strutture socio-sanitarie e assistenziali. Da molti luoghi vengono segnali positivi: città che divengono più articolate; famiglie e imprese che traggono vantaggio da una nuova offerta di lavoro, spesso a costi assai contenuti; l’accresciuta domanda espressa da una maggiore popolazione che mantiene toniche le economie locali. In non pochi casi, come a Bergamo, «la ricchezza accumulata negli anni precedenti funge da ammortizzatore sociale». Non mancano problemi, naturalmente, in un processo così ampio e rapido. Tensioni latenti o palesi, conflitti fra le frange più deboli o chiuse della società (aizzate da imprenditori politici della paura) e gli immigrati, fra gli ultimi e i penultimi, esemplificate dalle vicende di via Anelli a Padova. Preoccupazioni per la tenuta del buon livello dei servizi, anche per la penuria complessiva di risorse degli enti locali, come a Pistoia.

Ma le dinamiche demografiche negative segnano profondamente anche i centri urbani più deboli del Paese, prevalentemente al Sud. Luoghi caratterizzati in passato dalla prevalenza dell’attività edile e di intermediazione commerciale, con l’invecchiamento e la riduzione della popolazione vedono prosciugarsi le tradizionali attività lavorative. L’edilizia langue, non solo per i colpi fortissimi della crisi ma per dinamiche ormai strutturali; e così il commercio al dettaglio. Lì paiono ormai arrivate al culmine le attività edilizie per la realizzazione di centri commerciali all’esterno delle cinte urbane: hanno dato per un periodo un po’ di nuova linfa alle costruzioni, ma hanno contribuito all’impoverimento del commercio. Con il contrarsi della popolazione calano il gettito fiscale e la capacità di finanziare i servizi pubblici, specie in un quadro nazionale di trasferimenti fortemente decrescenti; diminuisce la domanda di servizi privati e di spazi abitativi (in un Paese dove già una casa su cinque non è occupata, ma una su tre nei piccoli comuni della provincia di Terni o in Calabria); decrescono i valori immobiliari, con un effetto-ricchezza negativo specie per i piccoli proprietari. Meno bambini e dunque meno insegnanti, meno scuole, meno ospedali, meno negozi, meno abitazioni (…).

La presenza delle teste pensanti di imprese di media o grande dimensione diviene fattore sempre più decisivo. La grande crisi economica italiana, com’è noto, è stata selettiva: ha prodotto un’ulteriore, significativa diminuzione delle imprese più grandi. Tuttavia, insieme al ripiegamento di tanti segmenti della nostra capacità produttiva, ha prodotto il riorganizzarsi e il consolidarsi di imprese e distretti leader centrati sulla presenza di imprese medie e medio-grandi.(…)

In quasi tutti i luoghi italiani è in corso uno sforzo per potenziare le attività turistico-culturali. Ci sono molte condizioni favorevoli: dalla grandissima e differenziata disponibilità di fattori attrattivi ai nuovi collegamenti aerei; dalle tendenze di lungo periodo del turismo internazionale verso vacanze più brevi e frequenti alle condizioni che oggi riducono la concorrenza di altre mete mediterranee. Alla lunga tradizione delle grandi città d’arte e cultura, delle mete montane e balneari, si aggiunge così un’offerta sempre più ampia, che tocca quasi tutti i luoghi italiani.

Specie per le città più deboli sotto il profilo manifatturiero, si tratta di percorsi interessanti, basati sulla valorizzazione di risorse architettoniche, culturali, ambientali, naturali; sui positivi processi di risanamento e rivitalizzazione dei centri storici che si sono realizzati in molte città del Sud, da Salerno a Matera (anche per questo Capitale europea della Cultura 2019), da Bari a Lecce, da Siracusa a Ragusa. Cambiamenti assai positivi, in un Paese che ha fatto del dissennato consumo di suolo e del deturpamento di città e campagne la sua cifra per decenni. La crescita dei flussi turistici e della stessa notorietà e immagine dei luoghi può portare ricadute per la commercializzazione di produzioni alimentari o vinicole che più con quei luoghi si identificano, con un aumento dell’occupazione e del reddito. Non mancano però rischi in queste strategie: quella dello scenario di città-museo, con eventi di corto respiro, organizzata per la gestione di flussi di presenze mordi-e-fuggi, con la trasformazione dei centri storici in strutture e servizi di accoglienza per i turisti a danno dei residenti, e occupazioni a bassa qualifica e salario. (…)

Da più parti giungono segnali assai confortanti di vivacità nella costruzione dal basso di percorsi futuri, specie dove è forte la presenza giovanile. Il nostro viaggio segnala, per fortuna, che non c’è solo un adagiarsi sulle rendite del passato ma anche tanto investimento collettivo. L’Italia è innervata da piccoli e grandi gruppi che si formano per realizzare progetti, per rivitalizzare aree e quartieri dismessi, per accogliere e integrare i migranti o per dare forma a nuove attività culturali. Anche di questo fervore sappiamo relativamente poco, e la scarsa conoscenza impedisce misurazioni e valutazioni d’insieme; cosa ancor più grave, ne riduce la visibilità e quindi le possibilità di collaborazione o la messa in rete sovralocale di queste esperienze, la replicabilità di quelle migliori.

Appaiono molto poco nei nostri luoghi amministrazioni pubbliche capaci di incidere. Non mancano; ma spesso i racconti testimoniano di gruppi di potere che gestiscono rendite locali, anche di contrasto all’innovazione sociale. (…)

Il dinamismo dal basso è fondamentale: nessun attore esterno può rilanciare comunità territoriali senza che esse siano protagoniste dei processi di cambiamento e trovino «collettivamente un senso per l’agire». È condizione necessaria ma insufficiente: un Paese non si trasforma e cresce solo con «cento fiori» dal basso. Percorsi di sviluppo delle aree interne sono possibili e credibili se c’è un forte investimento delle comunità locali, ma anche se le loro azioni e le loro esperienze sono accompagnate da una coerente direzione delle grandi politiche nazionali, dall’istruzione ai trasporti, come si cerca con fatica di fare con la Strategia nazionale ad esse dedicata. La carenza di politiche nazionali si avverte meno dove le dotazioni materiali e immateriali sono più rilevanti, la società più coesa e l’economia più dinamica; si avverte maggiormente laddove – come purtroppo in molti luoghi del Paese, e certamente non solo nel Sud – queste condizioni non sono tutte contemporaneamente soddisfatte.

Più di tanti altri Paesi avanzati, l’Italia è ciò che sono i suoi luoghi; ma la sua storia non può essere solo la somma algebrica dei loro cambiamenti spontanei. Il nostro viaggio ci consegna, forte, la necessità di non stare solo a guardare, incrociando le dita. Di provare a mettere in atto, con gli strumenti e l’intensità che i tempi consentono ma con l’ambizione di un grande Paese, le azioni necessarie per abilitare e rendere possibili i cambiamenti che nei suoi luoghi possono determinarsi; per catalizzare percorsi di crescita differenti ma diffusi; per connetterli e così rafforzarli in un sistema nazionale. È la storia lunga delle nostre città ad insegnarcelo: il futuro si costruisce consapevolmente”.

 

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