Il racconto di una lunga notte dell’estate 2018

(I Parte)

di Gaetano Prencipe

Quanti barconi stanno affondando in questo momento nel mare al largo della Libia? Quanti saranno i dispersi? Dieci, cinquanta, cento? E quanti saranno i bambini? Si, i bambini. Chi penserà a loro? Chi li salverà?

Sarah non riesce in alcun modo a prendere sonno, sebbene sia venerdì e senta il peso della settimana appena trascorsa. Il pensiero di quei bambini non le dà pace.

Di solito gli occhi le si chiudono dopo pochi minuti.

Durante il giorno fa pratica presso un affermato studio legale, che la impegna più del previsto: la mattina è sempre in giro tra i vari uffici giudiziari del circondario, per  udienze e servizi di cancelleria, mentre il pomeriggio, e spesso fino a sera tardi, è alle prese con ricerche di giurisprudenza e adempimenti di vario genere. Tra un fascicolo e l’altro, ha poi da preparare l’esame da avvocato, che si avvicina. A fine giornata la stanchezza si fa sentire, per cui, appena a letto, finisce ogni volta per addormentarsi con il libro tra le mani e la luce accesa sul comodino.

Questa sera, invece, il sonno tarda ad arrivare. Non ha ancora deciso se aderire all’iniziativa promossa per domani, anzi, vista l’ora, per oggi, sabato sette luglio,  dall’Associazione “Libera”, quella di don Luigi Ciotti, per ricordare proprio loro, i tanti bambini annegati durante i viaggi della speranza. Dovrebbe semplicemente indossare una maglietta rossa,  come quella che aveva addosso il piccolo Aylan quando l’hanno trovato riverso sulla spiaggia, a Bodrum, sulla costa turca, ormai privo di vita.

L’ha voluta leggere per intero la storia di Aylan e della sua famiglia, in fuga da Kobane, la città curda a nord della Siria  assediata dagli ijhadisti dello stato islamico. Il papà si era visto rifiutare un visto per il Canada , dove risiedono altri parenti, e così  aveva deciso di affrontare il viaggio per mare con la moglie Rehan ed i due figli piccoli, Aylan e Galip, affogati tutti e tre quando la piccola imbarcazione su cui erano trasportati si è capovolta sotto l’urto delle onde.

Da alcuni giorni il vento viene proprio dal mare e sembra che custodisca ancora l’eco delle loro grida di aiuto. Un vento insolitamente forte per il periodo estivo, che scuote con rabbia le persiane del suo balcone, inducendola più volte ad alzarsi per meglio fissarle al muro.

Il mare è solo a un centinaio di metri da casa sua, oltre il binario dismesso della ferrovia che un tempo consentiva al treno di arrivare fino all’ingresso del paese.

E’ il mare Adriatico, che in questo tratto lambisce la costa pugliese nell’ampio golfo alle pendici del Gargano.

Sull’altra sponda non c’è però la costa turca né quella libica ma quella croata e, più giù, quella albanese. E’ da lì che nel 1991 è iniziata la storia degli imbarchi di fortuna verso i porti italiani.

Sarah ne conosce bene l’inizio perché è nata proprio il giorno in cui la nave mercantile Vlora  è entrata nel porto della vicina Bari con il suo impressionante carico di ventimila migranti e di milioni di sogni da realizzare: un lavoro, una casa, una vita migliore, per sé e per i propri figli.

Sua madre le ha più volte raccontato di aver visto in diretta le immagini dell’attracco al molo foraneo, trasmesse da vari telegiornali in edizione straordinaria,  mentre era nel reparto maternità dell’ospedale, e di come il nome che le ha dato ne porti in qualche modo il ricordo.

Si chiama infatti come la moglie di Abramo, che alle querce di Mamre ha accolto tre sconosciuti viandanti e ha dato loro da bere e da mangiare, ricevendone in ringraziamento la predizione di una fecondità inaspettata. Sa anche che la scena biblica di quei tre stranieri seduti a consumare il pasto, assunta nell’icona di Andrej Rublev ad immagine stessa della Trinità,  simboleggia uno dei valori cardini della tradizione ebraico-cristiana: l’ospitalità. Un dovere, e, nello stesso tempo, l’occasione di un dono reciproco.

 

Fine prima parte

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