di Nicola di Bari

schiavismo immigrati | Comunità e territorioNel nostro Paese ci sono centinaia, migliaia di disperati per lo più di colore nero, che vengono pagati per il loro lavoro quattro euro all’ora, per dodici ore al giorno in condizioni disumane. Non c’è alcun sindacato, associazione o partito di destra, di sinistra, di centro, giallo, blu, verde, rosso, nero, di governo o di opposizione che stia al fianco dei nuovi schiavi, che sappia protestare, mobilitarsi, avviare un’azione civile per dire che il nuovo schiavismo è diventato la vergogna dell’Italia.

A ciò si aggiunge che nessuno vuole vedere questi rifugiati, bersaglio di gran parte dell’opinione pubblica  sia quando sono in mare, alla ricerca di un porto negato, sia quando, una volta sbarcati, vivono in condizioni a dir poco disumane, con ritmi di lavoro in nero massacranti e si rifugiano in catapecchie da terzo mondo. Nessuno si occupa più di loro se non i caporali, che da veri criminali li trattano alla stregua di “animali” senza dignità e diritti.

Raramente ci si accorge che certi campi della Calabria e della Puglia  assomigliano a quelli degli schiavi neri americani prima della conquista delle libertà civili. E solo dopo che un immigrato è stato ucciso a fucilate, si scopre che i nuovi perseguitati della terra vivono in luridi tuguri e lavorano a cifre di vera e propria schiavitù.

Nella nostra provincia abbiamo anche visto migranti sfruttati morire in incidenti stradali dentro catorci che trasportano merce umana. Tutti giovani che non arrivavano a venticinque anni di età e che avevano subito le peggiori vessazioni nel loro viaggio verso l’Italia. Il tutto in un’ipocrisia paralizzante, in uno sgomento momentaneo, nella totale assenza di risposte concrete.

La realtà dura e sconvolgente è che abbiamo perduto il nostro passato migliore, fatto di diritti, di rispetto verso le differenze, di lotta al sopruso e alla prepotenza, all’intolleranza e allo sfruttamento, e lo abbiamo sostituito con la paura, il rancore, la chiusura verso il diverso. Siamo diventati un Paese che non crede più in sé stesso, ormai senza identità e speranza. Siamo diventati un Paese senza leader, con una classe dirigente arrogante, ignorante, senza valori e principi, tutto questo nella totale rassegnazione e indifferenza del cosiddetto Popolo. La nostra Costituzione, nella sua prima parte, quella  dei diritti fondamentali dell’uomo, che spesso sentiamo definire la migliore al mondo e da tutti copiata, è diventata carta straccia.

Di fronte a questo schiavismo dell’era moderna, dell’innovazione tecnologica, spinta al di la’ di ogni ragionevole uso e di una società liquida senza più solidi valori, tutti silenti, nessuno può ritenersi innocente, ad eccezione dell’unica autorità morale e politica che è il Papa, il quale  in ogni suo intervento, sottolinea con forza che il rifiuto degli ultimi è il vero problema dell’umanità, diventata sorda, ipocrita ed indifferente.

La parte oscura dell’immigrazione nessuno vuole vederla; da ogni parte si fa finta che non esista o che sia marginale rispetto ai problemi reali del nostro paese.  In verità sono problemi di incompetenza, di corruzione dilagante, di clientele, di parassitismo e di rendita senza benessere e crescita.

Che Paese è diventato l’Italia e che Europa abbiamo costruito se non riusciamo a gestire insieme 49 migranti che aspettano da settimane su una nave in condizioni disumane per poter sbarcare in un porto sicuro?

La verità dei numeri ci dice che nel nostro Paese non esiste un’emergenza migratoria. Secondo i dati dell’Alto Commissario per i Rifugiati dell’ONU, nel 2018 in Europa gli immigrati arrivati via mare sono stati 115 mila rispetto ai 175 mila del 2017. In Italia nel 2017 sono arrivati 120 mila persone, nel 2018 gli arrivi si sono ridotti a 28 mila. Il problema in Italia non sono gli sbarchi, ma la presenza di circa 600 mila immigrati non regolarizzati. Di essi si è persa traccia nella memoria dell’attuale Ministro degli Interni. Aveva promesso di “inviarli tutti a casa” ma i rimpatri sono scarsi, oltre che costosi. In media ci sono venti rimpatri al giorno. Di questo passo, occorrerebbero più di ottanta anni per realizzare la sua promessa elettorale.

Se fossimo degni eredi del nostro passato migliore troveremmo soluzioni adeguate per promuovere politiche di integrazione e per regolarizzare i migranti e considerarli un’opportunità più che un problema.

In Europa, dal 2000, vi è stato un flusso netto annuale di immigrati economici provenienti da paesi extra UE tra il milione e cento e il milione e trecento. Sul piano demografico, tale flusso ha riequilibrato il calo o la stabilità delle nascite che si sono registrate in tutti i paesi europei. Senza immigrati, le economie europee avrebbero difficoltà a funzionare, e ancor di più i sistemi pensionistici. Il blocco dei flussi dell’immigrazione economica creerà grandi difficoltà ai sistemi produttivi, come sta avvenendo già in Ungheria. Tant’è che il Canada, il Giappone e la Germania hanno avviato politiche di apertura agli immigrati economici, necessari allo sviluppo e alla crescita.

Anche l’economia italiana ha bisogno di lavoratori immigrati, non solo per attività di bassa-media qualificazione. Senza gli immigrati, il nostro Paese sarebbe sicuramente più povero e senza una politica di integrazione rischiamo che tutto il nostro sistema non trovi più una sua sostenibilità.

Sono perfettamente consapevole che buona parte della popolazione non condivide questa analisi, ma non si può tacere rispetto a quello che vediamo ogni giorno nei lager della Libia, alle centinaia di morti affogati nel Mar Mediterraneo, alle centinaia di persone lasciati a mollo e al freddo  per settimane prima di trovare un porto aperto o sradicate da un giorno all’altro e portate via da luoghi in cui gli adulti si stavano integrando e i bambini stavano frequentando la scuola.

E’ nostro dovere,  di uomini liberi, promuovere politiche di accoglienza e integrazione. A partire dall’esempio che tutti noi siamo chiamati a dare l’Europa può e deve ritrovare lo spirito dei suoi fondatori.

Con la speranza che prima o poi ritroveremo anche l’Italia migliore, sì bella e perduta.

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