di Vito Saracino*

 

Era l’agosto del 1989 quando nelle campagne di Villa Literno, nella zona denominata per diversi secoli Terra di Lavoro, che viene ritrovato il corpo senza vita del sudafricano Jerry Masslo, assassinato.

Jerry aveva trent’anni, aveva lasciato la sua terra d’origine, il Sudafrica, per fuggire all’apartheid.

Jerry lavorava in agricoltura e un giorno decise di dire di no ad un’aspra usanza che stava diventando un atto di vile quotidianità –  opporsi alla rapina dei salari dei braccianti – nel gergo delinquenziale un prelievo facile a cui spesso”balordi” non camorristi e figli della piccola borghesia locale ricorrono.

Roberto Saviano descrive con minuziosa cura gli ultimi attimi di Jerry: “Arrivano in motorino all’alba per trovare gli africani ancora intontiti, si mettono una calza in testa e armati urlano ai “negri” di consegnare i soldi. Un ragazzo sudanese prova ad avvertire gli altri di scappare, gli spaccano la testa con il calcio della pistola e gli rubano un milione e mezzo di lire che teneva sotto il cuscino. Decine di ragazzi corrono verso le campagne. Jerry Masslo. Anche lui corre, corre e inciampa ricordano i testimoni, cade quasi in ginocchio davanti ai rapinatori, alza le mani ma non consegna i soldi. Parla in inglese, una sola domanda: “Why?”, perché, e lo chiede ancora e ancora e ancora. Troppe volte. Quattro colpi lo colpiscono all’addome, i rapinatori feriscono anche un ragazzo keniota. Finiti i proiettili scappano sui motorini. Jerry Masslo resta a terra.”

Trent’anni son passati, ma la barbarie si perpetua e raggiunge le seconde pagine della cronaca nazionale. Soumayla Sacko era un bracciante maliano, il suo destino si lega a doppio filo a quello di Jerry, stessa età, stesse condizioni.

Soumayla fugge dalla sua terra, e come tanti migranti si ritrova per qualche euro l’ora nella piana di Gioia Tauro, con la schiena piegata a raccogliere frutti che arrivano sulle nostre tavole ogni giorno.
Soumayla è stato assassinato nelle campagne di Rosarno mentre aiutava altri due connazionali a recuperare in una fabbrica abbandonata pezzi di lamiera per costruire baracche di fortuna, quelle in cui riposare dopo 12 ore di lavoro per una paga da fame. Ammazzato a colpi di lupara, un rituale dell’ esecuzione mafiosa, ammazzato per una lamiera o dei mattoni forati abbandonati, in nome dell’inviolabilità della proprietà privata. O forse c’è dell’altro?

C’è dell’altro perché le vite dei due ragazzi si intrecciano­ e alla dura fatica del bracciante rispondono con la forza della passione politica, la Politica come forma di vita, l’opposizione che attiva corpo e mente contro le ingiustizie di un presente de-politicizzato.

Jerry militava nell’ African National Congress, nel partito guidato da Nelson Mandela e sperava nell’asilo politico in Italia per ricominciare a vivere lontano dalle disuguaglianze. La militanza lo ha portato a dire no,  no a chi voleva con la sopraffazione il suo sfruttamento, la dignità calpestata.

Morire libero, in nome di una battaglia più ampia.

Anche Soumayla resisteva ai soprusi, era un sindacalista dell’ Unione Sindacale di Base, si batteva per la difesa dei diritti dei braccianti della baraccopoli di San Ferdinando, una “moderna” Soweto nel nostro Mezzogiorno.

L’omicidio di Jerry portò ad una mobilitazione nazionale incisiva.

Come scrisse Tom Benetollo, allora presidente di ARCI: “ Gli immigrati, da quel giorno in poi, hanno davvero aiutato noi italiani a parlarci più sinceramente e a collaborare più lealmente” e il movimento antirazzista organizza una prima grande mobilitazione per rispondere all’uccisione di Jerry Masslo chiedendo a gran voce una sanatoria, poi diventata legge.

Il 7 ottobre 1989 rimane una pietra miliare per l’antirazzismo italiano.

Nei giorni successivi la campagna di sensibilizzazione prosegue. Il quotidiano L’Unità pubblica un editoriale firmato da Abba Danna, un migrante del Ciad iscritto all’ARCI. Le mobilitazioni di quelle settimane spingono il socialista Claudio Martelli, all’epoca vicepresidente del Consiglio, ad interessarsi fortemente alla “questione Masslo”, impegnandosi personalmente con i migranti di Villa Literno per far sì che il loro status venga regolarizzato al più presto. Martelli per redigere la prima legge organica sull’immigrazione coinvolge attivamente associazioni, fra cui ARCI e Caritas, rappresentanze sociali implicate, ambasciate ed esperti di settore.

La morte di Masslo non cade nell’oblio, è anche grazie al suo sacrificio che la questione migrante ha raggiunto quella visibilità nazionale che ha portato alla prima legge quadro sull’immigrazione, entrata in vigore il 28 marzo 1990.

A ventotto anni da questa grande onda la situazione sembra essere radicalmente mutata, i razzismi e i populismi beceri animano le reazioni della società (in)civile, la morte di Soumayla Sacko cade nell’indifferenza, è un pasto da consumare nel cannibalismo della quotidianità frenetica, alienata.

Forse le analogie fra Jerry e Soumayla si fermano qui, dentro e sopra la Storia.

Alla sensibilità governativa di allora, oggi si contrappone un governo che ha fatto della lotta all’immigrazione uno dei suoi punti centrali all’interno della sua propaganda sensazionalistica.

Il ministro dell’interno Matteo Salvini, come da copione, si lascia andare all’ebbrezza irrinunciabile della pancia, un espediente facile quando è il qualunquismo a fare da padrone, chiudendo i porti italiani all’attracco della nave Acquarius con a bordo 629 migranti, esclamando : “Nel Mediterraneo ci sono navi con bandiera di Olanda, Spagna, Gibilterra e Gran Bretagna, ci sono Ong tedesche e spagnole, c’è Malta che non accoglie nessuno, c’è la Francia che respinge alla frontiera, c’è la Spagna che difende i suoi confini con le armi, insomma tutta l’Europa che si fa gli affari suoi. Da oggi anche l’Italia comincia a dire NO al traffico di esseri umani, NO al business dell’immigrazione clandestina. Il mio obiettivo è garantire una vita serena a questi ragazzi in Africa e ai nostri figli in Italia”.

Solo il presidente della Camera Roberto Fico si è fatto argine a questa deriva razzista nell’area gialloverde dichiarando: “Ancora oggi, nel 2018, esistono nel nostro paese realtà di vera e propria schiavitù, luoghi in cui la dignità dei lavoratori non esiste. Parliamo di profondo degrado che uno Stato democratico e civile non può e non deve permettere. In questo contesto, in Calabria, è stato ucciso Soumayla Sacko. Un assassinio che ci lascia sgomenti e richiama tutti noi alla responsabilità del pensiero e dell’azione”

La speranza anche in questi attimi più cupi non può essere soffocata ed è ancora viva; fin quando ci sono trasmissioni televisive come Propaganda Live di Diego Bianchi, una delle poche trasmissioni “mainstream” che da più anni si occupa del sistema di accoglienza responsabile SPRAR e soprattutto fin quando ci sono  ancora sindacalisti del calibro dell’ italo-ivoriano Aboubakar Soumahoro dell’USB  uno dei leader della protesta pacifica che ha portato all’occupazione della cattedrale di Foggia , che ha ricordato le battaglie in difesa della dignità dei lavoratori della nostra terra come esempio di una rivalsa del lavoro:

“Se noi fossimo ancora nei giorni in cui viveva Giuseppe Di Vittorio, sarebbe stato con noi a rivendicare uguale lavoro e uguale salario. Non si toglie mai il cappello davanti al padrone”

Ricordiamoci di vivere nella terra di Di Vittorio, nella terra dei “Cafoni all’inferno” di Tommaso Fiore, nella terra del Ghetto di Rignano, nella terra dove ancora oggi si muore in campagna come nel caso del giovane Mara Keità a Gioia del Colle questo inverno per colpa di una stufa malfunzionante.

Restiamo umani e cominciamo a ripensarci come cittadini pensanti e attivi.

Grazie a Dafne per lo scambio di idee che ha portato .

* Dottorando in “Cultura, Educazione e Comunicazione”,
Ricercatore storico Fondazione Gramsci di Puglia

 

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